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In quello che sta accadendo a papà c’è qualcosa che va al di là del rapporto padre figlio, è qualcosa che va a toccare il punto in cui sono più sensibile, il rapporto tra chi è forte e chi è debole, tra chi sta bene e chi sta male.

E’ come se il dolore dell’umanità intera stesse in quel letto; è come se steso a far passare il giorno e poi la notte non ci fosse solo papà, ma ci fosse il bambino che non arriva alle nostre coste, l’anziano abbandonato, il ragazzino preda dei bulli, la donna vittima di violenze.

Ed è così che il mio cervello, e forse il mio cuore, hanno ingigantito tutto al punto da renderlo così grande che fatico a sostenerlo; fatico a tornare a casa, fatico a pensare che dietro questo male ci sia ancora un pò di bene, da qualche parte.

Ogni giorno il dolore fa chiudere una porta, fa ingoiare una parola, fa dimenticare un volto ed un nome.

A volte sono spettatore, altre presenza amorevole, altre ancora mastico rabbia; rabbia che brucia come tabacco sulle gengive.

Perdo il contatto con l’umanità, ma allo stesso tempo ne rivendico il senso profondo e vorrei…Vorrei saper accogliere qualcuno e credere a chi mi dice che verranno tempi migliori ed invece finisco solo con il credere a chi dice cazzate su una casa maledetta, sulla mia condanna (autoinflitta) all’infelicità…

Aspetto che passi il tempo, che un passo vada finalmente dietro un altro, che la voce torni normale o quanto meno comprensibile.

Ed aspetto anche che si torni tutti più o meno umani, che si accolga e non si respinga, che si integri e non si disintegri, che l’attenzione e l’amore per gli ultimi ed i deboli torni di moda.

 

 

c’è chi

c’è chi ti chiede se hai bisogno di una mano.

C’è chi resta con te fino alle 22 a tagliare un materasso che possa andare bene per la degenza di tuo padre.

C’è chi manda un messaggio, e c’è chi tutti i giorni viene in ospedale a portare una presenza, un cioccolatino, una parola.

C’è il medico che ti risponde subito ad una mail perchè capisce che hai bisogno di aiuto.

E c’è il medico di famiglia che non risponde manco se stai buttando il sangue.

E ci sono io. Stanco, spaventato, avvilito.

Che provo a fare del mio meglio, ed un attimo prima mi commuovo, un attimo dopo perdo la pazienza.

E penso sempre a quella mano nella mano il sabato mattina.

Penso al mio sedere incastrato nella poltrona vicino al suo.

Penso che oggi sono uscito dalla stanza perchè non riuscivo a cambiargli il pannolone.

Non c’è modo di uscirne bene da situazioni così, c’è solo da non fermarsi.

Spero i miei figli comprendano l’amore dietro la mia assenza, l’amore dietro il mio dolore, l’amore dietro questa rabbia che prende alla pancia.

Spero mio padre non si senta solo.

Sto facendo quanto riesco.