Il tennis

ci sono persone che non riescono a parlare del rapporto con la madre, con il padre.

Uomini e donne che vivono dietro muri fatti di silenzi, di mezze parole, magari di bugie.

Io non riesco a parlare del mio rapporto con il tennis.

Si tratta di un rapporto interrotto anni fa, che si intreccia con mio padre, con il modo in cui ero libero, con il bisogno di essere riconosciuto e valorizzato.

E nemmeno stavolta ci riuscirò.

Però quando si avvicina maggio ed inizia quella che una volta era la stagione sulla terra rossa, a me tornano in mente i Muster, i Becker, i Sanchez, i terraioli puri.

Forse ero anche io un terraiolo, per necessità, più che per capacità. Con quella mia impugnatura western mai corretta, con il top che più top non si poteva, con le due gambe velocissime e la testa che pur di prendere la pallina mi avrebbe fatto finire contro uno spigolo di marmo.

Perdevo, perdevo tanto, troppo, più di quanto i miei demeriti avrebbero meritato, ma era la testa che non andava, papà me lo diceva spesso, sempre.

Ho perso partite imperdibili, ho vinto buttando il sangue contro avversarsi con un quarto del mio talento (o presunto tale).

A me però maggio che arriva mi fa entrare nel naso il calore della terra rossa, mi fa respirare la terra che si alza dal campo, mi riporta il rumuore della pallina colpita, mi ripiomba nella poltrona di casa di mia nonna a fissare il 14 pollici della philips sintonizzato su Capodistria e poi mi lancia alle 8 del mattino fuori ai cancelli del tennis Vomero, ad aspettare che qualcuno ci aprisse, a noi orde di giovani zombie affamati di tennis, sudore, sole…

E sono grato e disperato nello stesso momento, per aver vissuto quel tempo e per aver lasciato lì tanta parte di me che poi si è persa, come quando chiudi un amore e non vuoi più saperne, perchè non sei tipo da “rimaniamo amici”.

Il tennis ed io non siamo rimasti amici, siamo quei due che si sono innamorati da ragazzini, promettendosi per l’eternità, ma che poi sono finiti distanti.

Quei due però sanno l’uno dell’esistenza dell’altro e sanno che quell’amore è rimasto da qualche parte, sotto la terra rossa, negli spogliatoi, nelle suole sporche delle scarpe, nei calzini bagnai dal sudore, nelle vesciche alle mani.

Torna maggio tra poco, lo sento dal rumore dei dritti e dei rovesci.