Compiti per l’anima. 3^ consegna

Ascoltate un brano musicale, in lingua straniera, una lingua che magari un po’ conoscete, ma non tanto da saper fare una traduzione simultanea; un brano di quelli che vi smuove qualcosa, ed iniziate a scriverci su.

Prendete una parola che capite e fatevi portare via, riscrivetela, fatene un fatto, una poesia, un breve racconto, un pensiero.

Usate quel brano e quella musica come un ascensore, per farvi salire sul terrazzo del condominio, o fino al cielo per i più bravi, ma anche nei garage, o giù all’inferno, per quelli tormentati.

Le canzoni sono come gli Star gate e come tali si aprono e si chiudono a cazzo.

Il compito è buttare tutto all’aria e quando sentite il brano giusto fermarvi ed iniziare a scrivere.

Io consiglio i brani dei “The Cure” o quelli dei “Radiohead“, almeno per iniziare. E poi passate a Cohen e là passateci i pomeriggi.

Tipo “Creep”.

Come potete ascoltare “Creep” e non avere voglia di raccontare quella volta in cui siete crollati in mille pezzi? Oppure “Apart” ed immaginare di perdere la persona amata sotto una pioggia battente, in un abbigliamento di una fighezza triste disarmante.

Viaggiate tra le note, viaggiate tra le parole, viaggiate tra le stelle o sui lastrici degli edifici.

Fatelo, sarà come una specie di lavanda gastrica dell’anima.

Colonna sonora “A Minor Incident” di Badly Drawn Boy.

p.s. E, no, non vale scrivere su questa. Questa va letta così com’è.

Per evitarvi di barare la trascrivo io, così, a cazzimma.

There’s nothing I could say
To make you try to feel okay
And nothing you could do
To stop me feeling the way I do
And if the chance should happen
That I never see you again
Just remember that I’ll always love you

I’d be a better person
On the other side I’m sure
You’d find a way to help yourself
And find another door
To shrug off a minor incident
And make us both feel proud

I just wish I could be there to see you through

You always were the one
To make us stand out in the crowd
Though every once upon a while
Your head was in a cloud
There’s nothing you could never do
To ever let me down
And remember that I’ll always love you”

Compiti per l’anima. 2^ consegna

Riparate un fatto, uno qualunque.

Non importa se si tratti di un oggetto vecchio o nuovo.

E non importa nemmeno che si tratti di un oggetto, potrebbe trattarsi di un “quadricipite” sempre lui, (a riguardo andatevi a rileggere l’affascinante storia del muscolo più sottostimato del corpo umano su wikipedia), che magari non usate da quello squat fatto nella palestra sotto casa nel lontano 2012, o anche di un pensiero, di un sentimento, di un’idea.

Anche le idee si riparano, anche i giudizi sulle cose, sulle persone, su chi ci ha cresciuto e su chi non c’è stato.

Quindi trovate un posto, magari una scrivania o il tavolo dove da bambino mangiavate la pasta e lenticchie di vostra zia, e riparate quel qualcosa.

Io però suggerisco un Casio di plastica, di quelli che avevamo tutti da ragazzi.

Svitate le 4 viti sotto il quadrante, alzate il pannellino di alluminio, (o di quello che è), guardate come, premendo i tasti, si muovano i componenti interni.

Osservate la vita nascosta degli oggetti.

Controllate che la luce per leggere l’ora al buio si accenda.

E’ importante avere una luce, sia pure flebile, nel buio.

E poi se non trovate roba strana, rotta, ma il vostro orologio continua a non segnare l’ora, fate come si fa sempre, date una botta.

L’arte di dare le botte la insegnano alla scuola “Radioelettra”, esiste dalla notte dei tempi.

Quando il fuoco non si accendeva l’uomo primitivo, comprensibilmente incazzato, prendeva due pietre e le sbatteva una contro l’altra. E qualcosa succedeva. Sempre.

Se dopo la pulizia dei contatti, la “botta”, il leva e metti della pila, il vostro Casio continuerà a non funzionare, rimettete tutto a posto, sistemate la batteria, riponete il pannello, riavvitatelo.

E niente, lui continuerà ad essere rotto e magari a segnare le 8.8.8.8, ma voi state sereni.

S postatevi su un divano o una poltrona, con una certezza, da qualche parte, dentro di voi, un’idea si sarà aggiustata, un pensiero si sarà allineato, un giudizio si sarà placato.

Svolgete il compito, aggiustate qualcosa, aggiustatevi o almeno datevi una “botta”.

Colonna sonora: “Fix You” (Coldplay)

Rubrica: “compiti per l’anima” n. 1

Il vantaggio di non aver lettori è che puoi rivolgerti a quelli immaginari.

Uno sconfinato pubblico di lettori in attesa delle mie parole, disponibile a perdonarmi se sbaglio la punteggiatura, se ometto una dopia, se inverto una Minuscola con una maiuscola…

Una platea in grado di apprezzare il senso di ciò che scrivo, anche quando vengo preso da autocompiacimento “letterario” diciamo.

Ed allora, proprio oggi, nel preciso istante in cui ho maturato la decisione di mettere mano ad una cosa di lavoro, mi si è attivata la “cazzeggio machine”, complessa apparecchiatura in grado di rilevare quando è in atto un comportamento “lavorativo” e deviarlo immediatamente verso una forma di inconcludente cazzeggio.

Breve preambolo per introdurre una nuova rubrica (forse la prima, forse l’unica).

Si chiama “Compiti per l’anima“.

Compiti per me, prima che per voi sconfinato pubblico di lettori virtuali; compiti non per nutrire l’anima, che a quello ci pensano altri, ma per tenerla in attività.

Perchè contrariamente a quanto sostiene qualcuno, l’anima non è una roba immateriale ed eterea, è più qualcosa tipo un muscolo.

Poi ognuno se la immagina come vuole e la colloca dove gli è più facile trovarla o, magari, dove gli è più difficile.

Io la mia anima me la immagino come un quadricipite femorale, mi piace così.

(per chi volesse approfondire la composizione del quadricipite invito a cliccare sulla pagina wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Muscolo_quadricipite_femorale#:~:text=%C3%88%20notoriamente%20costituito%20da%20quattro,riflesso%20del%20quadricipite%20che%20originano) dalla quale scoprite che è quadri un par di palle).

Comunque dicevo, l’anima va allenata, a volte stressata, altre volte bisogna metterci del ghiaccio sopra, altre va lasciata defaticare, come dopo i 5 set di Sinner.

Ecco, il primo compito è questo, e lo suggeriscono i King Crimson.

Compito n. 1

Parlate al vento.

Mettetevi seduti comodi, o anche scomodi, per terra, su una sedia, schiena dritta o accartocciati come una lattina di coca zero finita. Come vi pare, ma fatelo dove c’è vento.

Parlate in faccia al vento, o di spalle, o magari dentro al vento, (ma occhio che non si tratti di un uragano, altrimenti niente seconda puntata delle rubrica per voi).

Ditegli di Voi, di ciò che siete, di ciò che avreste voluto essere, o di ciò che sarete.

Definitevi come si deve e poi mischiatevi, fino a non definirvi più.

Ogni parola se la porterà al vento, e tutti quei segreti e quei pensieri saranno liberati, ma saranno allo stesso tempo custoditi con riservatezza.

Parlate al vento, non importa se a favore o controvento.

Se però scegliere di farlo controvento, ed avete un pò di zeppola, attenti a non sputarvi in faccia.

Colonna sonora: “I Talk to the wind” (King Crimson, dall’album “In the Court of the Crimson King”)

Amandoti

Amarti m’affatica
Mi svuota dentro
Qualcosa che assomiglia
A ridere nel pianto
Amarti m’affatica
Mi dà malinconia
Che vuoi farci è la vita
È la vita, la mia
Amami ancora
Fallo dolcemente
Un anno un mese un’ora
Perdutamente
Amami ancora
Fallo dolcemente
Solo per un’ora
Perdutamente
Amarti mi consola
Le notti bianche
Qualcosa che riempie
Vecchie storie fumanti
Amarti mi consola
Mi dà allegria
Che vuoi farci è la vita
È la vita, la mia
Amami ancora
Fallo dolcemente
Solo per un’ora
Perdutamente
Amandoti
La vita, la mia
Amami ancora
Fallo dolcemente
Un anno un mese un’ora
Perdutamente
Amami ancora
Fallo dolcemente
Solo per un’ora
Perdutamente
Amandoti
È la vita, la mia
Amandoti
È la vita, la mia
Amandoti
È la vita, la mia
Amandoti
È la vita, la mia

12 Gennaio

E’ come il rumore del mare la tua assenza.

Se ne sta lì, costante, in sottofondo.

Avanza e arretra, lambisce la pelle quando decido di sedermi a riva, a volte accarezza, a volte porta un freddo inaspettato.

Ma non mi sottraggo mai.

A volte la contemplo questa tua assenza, cercando di capire se contenga ricordi, pensieri, desideri non realizzati, idealizzazioni…

Altre volte invece ci piango su, come fosse una base musicale su cui intonare la mia canzone.

E poi metto “Roberta” o “Un grande amore e niente più” di Peppino di Capri, e ti guardo, con un occhio del cuore ed uno della memoria, mentre le intoni, divertito sotto i tuoi baffi, così belli, così adulti, così protettivi per il bambino che ero.

Siamo rimasti lì tu ed io, all’infanzia, a me biondo ed a te nel campo da tennis.

Ed è lì che torno spesso, ed è lì che torno sempre.

E manchi, e manca non poter, o non saper, condividere con nessuno questo buco nero che ho dentro al cuore.

Solo il messaggio del tuo amico fraterno, puntuale come l’amore vero sa essere, mi fa sentire che non sei unicamente un mio ricordo ora, ma che vivi in altre memorie, in altri cuori, in altri ricordi.

Ed allora ti saluto così papi, seduto sugli spalti del circolo di Lucia, sorseggiando dalla cannuccia una Coca in vetro, mentre servi, mentre corri, mentre sorridi, mentre vivi e metti a mani larghe il tuo cuore dentro il mio.

Per sempre.

2024

A me il fatto di parlare con gli anni appena trascorsi, o con quelli appena arrivati, come fossero persone a cui dare del “tu” mi ha sempre irritato.

Come se un anno potesse davvero aver voglia di ascoltarti e darti la confidenza necessaria per permetterti di fare una richiesta, realizzare un proposito, evitare il ripetersi di certe cose non proprio piacevoli…

Dunque al 2024 io darò del “Lei”.

Sia per non dare confidenza, sia per una forma di rispetto.

Egr.io 2024,

non ci conosciamo ancora e già ha esordito con questa influenza che mi fa parlare come Bingo Bongo, personaggio di un tempo in cui queste pessime battute erano ancora consentite, oppure come De Mita, personaggio di un tempo in cui era tutto consentito.

Sono sicuro che Lei, prima di arrivare qui, si sia quanto meno confrontato con i suoi predecessori, che ci sia stata una qualche forma di passaggio di consegne, o comunque un recap di ciò che è stato.

Non è dunque necessario che io Le spieghi che no, non è normale che mio cugino sia morto a 50 anni di infarto, lasciando un figlio ragazzino ed una moglie distrutta e no, non è manco normale che Federica sia andata via così, nel momento nel quale i suoi coetanei soffrono per amore, escono, bevono troppo, litigano con i migliori amici, decidono cosa faranno da grandi.

Forse è già più normale che un amico, un uomo grande, finisca ad 87 anni, ma magari poteva finire con i figli vicino e non con noi, e non perchè il nostro non fosse un amore grande, ma perché per un padre, girare gli occhi e non trovare i figli, è un dolore che, secondo me, nemmeno la morte lava via.

E poi, più in generale, ci hai messo guerre, disastri, crisi umanitarie.

Ma su questo, come il più scontato dei politicanti, mi risponderai “è una situazione che ho ereditato” e vabbè, ma manco si può sempre fare sta cosa dello scarica barile…

Ad ogni modo, premesso che il 2023 apparteneva ad un’altra corrente di pensiero, che Lei è diverso, che ha a cuore i destini dell’umanità e tutte le solite cose che ogni anno ci vengono rifilate, io qualcosa di concreto la vorrei.

Vorrei vedere i miei figli andare incontro alla vita, dando piccoli morsi, senza saziarsi subito, scoprendo paure ed anche il modo per affrontarLe.

E vorrei fossero le punte centrali della propria esistenza, intenti a cercare il gol, ma anche a fare assist quando sono marcati, senza mai mollare, sapendo che se mollano, dalle curve arriveranno incoraggiamenti e non accendini.

E vorrei mia mamma si facesse la sua età con serenità, perchè ha lottato e tribolato molto.

E vorrei pure io continuare il mio cammino, senza coltivare inutili risentimenti o dolori, proseguendo con le meditazioni, le lezioni, le partite, la ginnastica.

Con ironia, ed ogni tanto profondità d’animo.

Non esiste un modo per fare le cose, questo ormai lo so da me, esiste farle o non farle.

Chiedo tanto, lo so, ma in fondo non sono uno che impatta molto sullo scenario globale, sono una formichina e per un pò, a questa formichina, potrebbe anche evitare di rompere il cazzo, tanto più se pensa che trovare il cazzo di una formichina è davvero difficile.

Insomma, facciamo che questa lettera resterà tra noi, che io ci metterò il mio e Lei il Suo, ma facciamo anche che non accetterò altre tragedie, ne farò una questione personale, La verrò a stanare nella Sua dimora sulle colline, darò fuoco a tutti e 12 i mesi, staccherò i giorni a tutte e 52 le settimane, me la prenderò persino con quello sfigato di 29 febbraio, che chissà come quest’anno si farà vedere.

Ci siamo capiti no?

Cordialmente, ma manco tanto.

Federico