Per ovvie ragioni non posso nominare luoghi, strade, punti di riferimento. Questa strada io però la conosco da quando ero ragazzino, l’ho percorsa in auto, in vespa, qualche tratto anche a piedi. Ma ora qualcosa è cambiato, si sente odore di pericolo, odore di imprevisto…
Che odore ha l’imprevisto? Non lo so, so che avanzando muscoli mi si irrigidiscono e la mascella si fa più serrata.
Arrivo alla salita finale che la mia Punto quasi non riesce ad arrampicarsi. La casa ha cambiato volto, non ci sono più aggraziate siepi a difendere la privacy del villino, ma mura alte due metri. Ho timore di aver sbagliato casa, che i miei ricordi non siano così precisi come credevo.
Poi vedo una intera pattuglia di G.I. Joe a protezione della struttura e capisco di essere nel luogo giusto. Mi avvicino lentamente, dopo essermi accertato che gli agenti dei corpi speciali mi abbiano inquadrato.
Sbrigo le formalità di identificazione: scansione della retina, controllo impronta, estrazione DNA; poi test psicoattitudinali e cognitivi.
«Si mi piacciono i fiori», rispondo.
Il G.I. Joe capo fa per alzare il mitra, ma per fortuna una voce in lontananza lo richiama: «Fallo entrare, fallo entrare».
Finalmente si aprono i pesanti battenti del cancello che mi impediva la vista di quel luogo un tempo familiare.
Il giardino è perfettamente curato, i 7 nani e Biancaneve spiccano per la loro eleganza sobria e per un attimo mi ritrovo ad avere 20 anni e mi vedo correre felice in quel prato.
Vengo accompagnato rapidamente all’interno della casa, un elicottero in lontananza mi ricorda che qui non si corre più, non per gioco almeno.
Eccolo, lui è seduto al pianoforte, non si gira verso di me, continua a cantare uno dei suoi brani preferiti “La Lambada”, ma per il suo solito vezzo di stupire ci inserisce un po’ di venature jazz..
Resto ad ascoltarlo.
A un tratto si gira e mi dice: «Ma tu lo sai che il subcomandante Marcos indossa la maglia della salute e che una volta che non ce l’aveva ha fatto saltare un agguato alle forze governative che aveva programmato da mesi?»
Gli dico che no, non lo sapevo. Mi pare deluso.
Poi come si fosse acceso un interruttore fa: “Uè ciao, che piacere rivederti, accomodati. Aspè, ti faccio portare un caffè. Alza il telefono, la telefonata viaggia su una rete protetta, viene controllata dal ministero e arriva direttamente allo “089” che ci fa arrivare, via elicottero, i caffè in pochi minuti.
«Purtroppo a certe cose non posso rinunciare, anche se possono apparire vizi».
«Lo capisco – rispondo – ora però dovremmo iniziare».
«Spara», dice.
Manco il tempo di finire la parola che 3 G.I. Joe hanno fatto irruzione nella stanza, uno mi blocca con la faccia a terra, uno fa scudo a lui e l’altro controlla il perimetro.
«Cazzo fate!», urla Corrado. È tutto a posto, spiega che stava solo dando il via all’intervista.
Comprendo che non sarà facile intervistare “Corrado De Rosa”, lui ormai vive sotto altissima protezione.
«Iniziamo», dico stavolta cautamente e accendo il registratore dell’Ipod. Uno dei G.I. Joe è rimasto nella stanza in un angolo, non si sa mai.
D. Ciao Corrado, è tanto che non ti si vede in giro, finalmente un gradito ritorno e dopo tanti anni di nuovo in onda con il tuo: “Il Pranzo è servito”, ma non eri morto?
R. Ti prendi gioco di me con una battuta fiacca, ma consentimi di ringraziarti: avevo chiesto alla mia agente di assecondare ogni tuo desiderio pur di fare quest’intervista.
Mi sento lusingato.
D. Ecco, credi che il fatto che la gente ti ritenesse morto, sia stato voluto da soliti poteri forti?
R. Si è trattato dell’inevitabile macchina del fango che ha un buco nella gomma e che si è scatenata contro di me perché ho messo alla gogna quei poteri.
D. Comunque, dicevamo, un anno importante, tanti cambiamenti, tanto lavoro, poi la ribalta: presentazioni, reading, nomi importanti, articoli sui giornali. Davvero tutto questo è merito solo dell’enorme montatura degli occhiali che indossi? O è tutta una montatura?
Mi guarda fisso negli occhi con quel suo sguardo bello e dannato, senza rispondere e con la bocca semiaperta.
D. Hai scritto un libro, non possiamo far finta di niente, anche se sarebbe bello. “Mafia da legare”. (http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2013/02/05/news/finti-pazzi-veri-mafiosi-1.50378;
http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recensione.asp?id_contenuto=3741041) Saviano l’ha definito: “Un libro di una potenza incredibile, evocativo e surreale, diretto e audace, romantico e cinico, Holly e Benji…”, poi subito dopo ha detto: “Ah, De Rosa, io avevo capito De Silva”, si è chiuso in un lungo mutismo e, guardando fuori dalla finestra, ha sospirato: “Come vorrei mangiare un gelato senza la mia scorta”. Come ti fa sentire questo giudizio?
R. Lusingato, soprattutto per il rimando a Holly e Benji: due giovani dall’identità confusa che incarnano simbolicamente il nostro tempo, sono pur sempre uno psichiatra. E fiero, perché ho scritto due libri, non uno. Il primo, però, ha cambiato così tanto la saggistica italiana che tutti cercano di nasconderne l’esistenza. Ancora il complotto …
D. Hai intrapreso un percorso lungo, faticoso, impegnato e impegnativo, ma credo ne varrà la pena, giusto? Non è da tutti iniziare una dieta tra Natale e Capodanno.
R. Ti ringrazio molto. Ho pure aperto un gruppo su Facebook in cui dispenso perle di saggezza. Ho tre “mi piace” al post: Il fritto è il peggior nemico dell’uomo
D. A proposito di dieta e di cibo, la prefazione al tuo libro “Mafia da legare” è stata scritta niente di meno che da Pietro Grasso, prima che lui diventasse presidente del Senato. Siete molto legati? Hai il suo cellulare? Ma soprattutto hai avuto la tentazione di dirgli che: “L’ananas brucia il grasso”?
R. Si, hai ottime fonti tu. È successo durante una presentazione del libro. Gli ho chiesto il suo cellulare e mi ha riposto di non avere un cellulare. “Allora lasciami il tuo indirizzo email, Pietro. Ci diamo del tu, si?”, e gli ho dato un buffetto. Lui ha risposto: “Non uso la posta elettronica, ma nel caso La cerco senz’altro io”. E a quel punto gli ho detto la cosa dell’ananas
Corrado mi parla con franchezza, nei suoi occhi posso quasi intravedere, dietro la pesante montatura di mogano intarsiato, le tracce del ragazzino impacciato che era.
D. Domande scomode lo so, ma tu sei un uomo scomodo, specie per la mancanza di collo, non trovi?
R. Non lo trovo, piuttosto.
Risponde secco, e getta uno sguardo al nerboruto che se ne sta che se ne sta ancora in piedi, in un angolo
D. Sei sempre stato conosciuto come il fratello di Antonio De Rosa, che a sua volta è conosciuto come il fratello di Corrado De Rosa, questo fa di voi due invisibili sconosciuti, perché?
R. Perché abbiamo sempre pensato che lui fosse quello che sapeva scrivere bene e io quello che doveva andare al nord a lavorare. Ora lui lavora a Milano e c’è stato chiaramente qualche passaggio esistenziale sbagliato.
Faccio per domandargli ancora qualcosa sul fratello, ma mi stoppa con la mano e sussurra, appena udibile: «Quelle maledette cravatte da venditore di loft…Lo stanno distruggendo».
D. Tua madre ti ha sempre assecondato, considerandoti quello intelligente di casa, donna di grande ironia?
R. Si, ha pure considerato sempre te l’amico bello e intelligente di mio fratello.
E così i leva una pietra dalla scarpa che aveva dal 96.
D. Torniamo al libro “Mafia da Legare” (ogni volta che lo nomino avanzo 5 euro), lo hai scritto a 4 mani con la giornalista Laura Galesi, è stato difficile far incontrare due ambidestri? Scrivevate sullo stesso foglio? Dicci di più.
R. Io tenevo fermi i fogli e lei scriveva quello che abbiamo deciso di copiare da altri, l’abbiamo risolta così.
D. In una recente intervista hai affermato: “Ogni interpretazione si muove sulla sottile linea che separa un’ipotesi ragionevole da una complottista”, ma o’ ver fai?”
R. Ho anche detto ad un’importante testata internazionale: “È tutto un bluff, non seguite facili sensazionalismi criminali: questa non è una guerra di camorra”, e poi è scoppiata la nuova faida di Scampia, se è per questo.
D. Mo’, tu sei sposato, hai una bella moglie e una bella figlia, non hai paura che la troppa fama e il successo impediscano a te e alla tua famiglia di passeggiare sereni per le vie del centro?
R. Vivo come in una bolla di sapone, ma non è andata sempre così. Ero un po’ nervoso perché le cose non giravano. Poi all’improvviso la svolta: le copie del libro in due giorni esaurite nella mia città. Solo a Salerno, certo, ma è un buon inizio. La cosa strana è che tutto è andato di pari passo con un buco sulla carta di credito di circa tremila euro che non so spiegarmi, e con mia moglie che continuava a ripetermi: “Caro, ho avuto una spesa improvvisa”, ma sono felice, Vorrei solo mangiare un gelato senza la mia scorta…
D. Vorrei concludere dicendoti che mio figlio si chiama come te, devi dirmi qualcosa?
R. No, però se tuo figlio è calvo e porta dei sobri occhiali verde fosforescente allora forse si.
Corrado si alza, con passo deciso va verso il suo pianoforte a coda intarsiato di diamanti olandesi.
Il successo non lo ha cambiato. Si mette a sedere sulla panchetta e attacca a suonare una struggente versione di “Pasquale l’infermiere” del Califfo.
Non un saluto, non un cenno, il suo modo di accompagnarmi alla porta è questo, e vale più di mille parole.
P.S. Corrado De Rosa, montatura degli occhiali a parte, è una persona seria. Ha scritto due libri, (io ne conoscevo solo uno, l’ultimo “Mafia da legare”, scritto con Laura Galesi, che non mi ha nemmeno regalato), ed è anche uno stimato psichiatra.
Mi ha concesso questa intervista fregandosene del fatto che da oggi quando qualcuno scriverà su google “Corrado De Rosa”, apparirà anche il link al blog. A lui il mio rispetto, ed un ricordo a tutti quei giornalisti e scrittori coraggiosi che non possono mangiare il gelato quando cazzo gli pare.
P.P.S. Corrado, ci ha tenuto a giustificare tutta l’intervista in un carattere che conosce solo lui, il “Garamond”…Ignaro del fatto che sui blog tiscali va tutto in malora…