A.C.A.B.

film visto ieri, piaciuto. Piaciuto perchè mi ha fatto riflettere, cosa che credo fosse un pò l’intento del film.

Non mi piace pensare che esista il celerino tipo, con il busto di Mussolini in casa, che compie vendette private e che manganella per il gusto di manganellare, così come non piace pensare che ci siano i manifestanti che vanno in piazza solo per spaccar vetrine, o tifosi che hanno l’unico obiettivo di far fuori uno sbirro.

Mi viene più facile pensare che dietro la divisa e nelle piazze, ci sia una varietà di sensibilità, atteggiamenti, educazioni e caratteri tale da rendere di fatto impossibile l’esistenza di schieramenti così netti.

Alla fine del film sono riuscito solo a pensare che quando il conflitto si trasforma in violenza, sia che avvenga in uno stadio, sia che avvenga in una piazza, allora si è già consumata la sconfitta, indipendentemente dal fatto che a compierla sia il celerino o il manifestante. C’è qualcosa di marcio a monte che produce la violenza.

La questione è sempre la stessa, i nostri sistemi fanno come i dottori che curano il sintomo e non la malattia ed in questo modo di concepire la società, il celerino è una sorta di siringa al cortisone, dannosa ma in grado di arginare per un pò il dilagare della malattia, anche quando malattia non è.

Il problema è che sentirsi come l’ultimo baluardo della legalità, in un paese, (e come il nostro tanti), in cui la legalità non esiste e non è un valore applicato e difeso tutti i giorni, regala anche un senso di potere e onnipotenza in grado di produrre scempi come quelli di Genova al G8.

Ma la questione è ampia perchè per me, per quanto si possa dire che il celerino è servo dello Stato e come tale deve saper reagire, è una cazzata perchè in situazioni di scontro ravvicinato, hai voglia ad essere addestrato e formato, non c’è possibilità di gestire con razionalità la cosa. Che razionalità c’è in uno scontro fisico e talvolta armato?

Pare quando andavi a giocare in cortile e la mamma ti diceva “non sudare”, ma come cazzo si fa????

A.c.a.b. mi ha lasciato con l’idea che non esitano i buoni ed i cattivi come nei western, anche se è una rappresentazione che tutti i giorni ci viene propinata perchè in qualche modo rassicurante.

Esiste la buona idea di società che produce meno violenza e la cattiva idea di società che ne produce tanta. Noi siamo parte di una società che si incattivisce giorno dopo giorno, che richiede l’esistenza di zona franche come gli stadi in cui reati in genere punibili, vengono fatti passare come comportamenti quanto meno tollerabili.

Viviamo in una società dove il ricorso alla piazza è necessario per l’effetto “intimidatorio”, non dichiarato, ma nemmeno troppo velato, che le manifestazioni dovrebbero avere sul potere, se non fosse che spesso è il potere a sfruttarle e strumentalizzarle.

Corro il rischio di allargare troppo il discorso.

E’ un film che consiglio, che però va digerito per bene, allontanando un pò gli stereotipi e abituandosi all’idea che quello che bolliamo come male, da qualunque parte sia, è anche dentro di noi.

La crisi e la speranza “spiegate” ad un chicco di grano

A volte capita di camminare per strada e cogliere un segno; di tornare a casa e trovarne un altro, di fissare la libreria e vedere il titolo di un libro che si inserisce a perfezione nel puzzle che si sta componendo, poi accendi la tv, navighi su internet e trovi altri tasselli. Ed allora non puoi che fermarti, mettere ordine tra i pensieri e ragionare su ciò che il “caso” ti sta suggerendo.

La crisi.

Ne ho parlato in altri post, pur non avendo una profonda conoscenza dei meccanismi finanziari economici.

Ne parlerò ora, ne sto già parlando.

La crisi, che vogliono farci passare come un fatto di passaggio, come frutto di un qualche errore di calcolo…Ma è un pò come se ad uno che  in auto a 160 Km ha preso una multa, gli si dicesse: “guarda è stato un caso che ti hanno beccato, vedrai che se vai a 200 non ti prendono”. Ecco, sta succedendo un pò questo.

Però…Però, anche se allo stato embrionale, molte cose stanno cambiando, non so se per merito della gente o se perchè la storia ha una forza troppo più grande della nostra stupidità, fatto sta che si sente parlare, sempre più spesso, di  quelli che in passato erano ossimori e che ora invece stanno ad indicare il cambiamento. Parlo di Finanza etica – di sviluppo sostenibile – di decrescita felice – di prestito solidale…

Il sistema che sta finendo, o che forse è già finito, ha creato l’illusione che potesse durare per sempre ed anche ora che quel sempre ha mostrato a tutti di essere un bluff, c’è chi prova a convincerci che la strada sia sempre e soltanto quella dei consumi e della crescita.

Mi accorgo che a dispetto delle generazioni che mi hanno preceduto, possiedo i germi di una nuova politica, di una nuova economia, di un nuovo modo di vedere e sentire il rapporto tra me ed il mondo che mi circonda, un mondo assai più vasto, ma più vicino di quello che conoscevano i miei ad esempio e del quale non avevano che una vaga percezione.

Oggi invece il mondo è qui, dietro questo schermo, a portata di un volo tutto sommato dal prezzo non impossibile. Il mondo mi è più conosciuto, anche se non quanto vorrei, e conosco un pò le interazioni tra me che faccio la fila per uno smartphone ed il ragazzino di 11 anni che l’ha costruito per l’equivalente di 20 centesimi. Conosco, o almeno leggo, del sudore degli immigrati che prendono i pomodori che finiranno nel ragù che ha cucinato mammà.

Tutto questo non mi permette ancora di cambiare le cose, ma mi permette di essere dalla parte di chi ha e avrà più cuore, più lucidità e più palle di me per costruire i progetti con cui supereremo questo sfacelo.

E posso parlare al mio chiccho di grano, e sperare che, darwinianamente, lui si evolva e trasformi gli embrioni di consapevolezza che ho dentro, in organismi viventi, marcianti, parlanti e senzienti, per cambiarlo davvero il mondo, anche solo per il semplice fatto che, ora come ora, non può non cambiare.

Non c’è alternativa!

Non c’è alternativa alla filiera corta;

non c’è alternativa alle energie pulite;

non c’è alternativa al disarmo;

non c’è alternativa all’equità ed alla solidarietà;

non c’è alternativa all’azzeramento dei debiti;

non c’è alternativa alla mobilità sostenibile;

non c’è alternativa all’integrazione tra le genti;

non c’è alternativa alla decrescita, all’orto sinergico, al fai da te, ai gruppi di acquisto…

E pazienza se oggi, nel 2012 io di queste cose sappia solo parlarne ed in modo anche impreciso, ciò che conta è che un pò, anche solo un poco se ne parli, perchè tu, piccolo omino di 11 kg ed un pò, tu potrai prendere questi pensieri e renderli fatti nel mondo che verrà.

Non ascoltare quelli che proveranno a frenare il cambiamento, perchè il cambiamento ha un potere suo forte ed indipendente dal quale dovrai solo farti trascinare.

Riderai più forte di me delle pubblicità della auto, della ipocrisia di una Fiat o di una Parmalat, guarderai i vecchi, del mondo vecchio, chiusi nelle scatolette di ferro e plastica fermi sulla strada mentre tu, ed i tuoi amici, passerete su mezzi che i vostri sogni e la vostra forza avranno costruito.

Figlio mio, la crisi è la nostra, anzi è la loro, quello che è tuo, ed attraverso te un pò mio, è la speranza che, giorno dopo giorno, si farà certezza, che il mondo nuovo è già nelle tue mani.

Come in un vecchio film…

Vi ricordate “Interceptor”, il film  fine anni 70 con un giovanissimo e incattivito Mel Gibson?

Bè, io di quel film ricordo le bande di criminali che, in un futuro post-apolittico, giravano per le strade, su macchine infernali, assetati di sangue e benzina.

Bè tra ieri e oggi ho avuto l’impressione che il concetto di post-apolittico possa e debba essere riconiugato al presente.

Ieri al Carrefur, (per i nostalgici GS), ho visto le cassette di frutta e verdura completamente vuote, c’erano 4 mele, abbandonate lì chissà perchè, le ho prese io…

Il resto della merce era stata tirata fuori da chissà dove, tutta con scadenza imminente e la gente che faceva la spesa si aggirava tra le corsie del supermercato famelica, in preda ad un terrore insolito, attenta ad accaparrarsi qualsiasi cosa, anche quella che non avrebbe mai utilizzato.

Due tizie avanti a me hanno fatto una spesa per  400,00 euro, roba da chiedersi in quale bunker si andranno a rinchiudere. Poi ho guardato il mio carrello, e ci ho trovato dentro 10 confezioni di latte a lunga scadenza e mi sono accorto che quel terrore da guerra silenziosa aveva colto anche me.

Oggi…Oggi sono andato da un cliente ad Arzano, il mio motorino alla partenza da casa. segnava una tacca sull’indicatore del carburante, mi sono fatto due conti ed ho deciso che potevo provarci. Napoli – Arzano andata e ritorno con un paio di litri scarsi di benzina nel serbatoio.

All’altezza di Casavatore ero già a rosso, un errore nell’imboccare una traversa ed ecco altri 3 km persi.

Al ritorno ho avuto il terrore di non riuscire a tornare a casa, ho camminato a filo di gas, ho spento il motore nei pochi tratti in discesa e ce l’ho fatta.

Mi è venuto da ridere sotto casa, ma poi ho pensato: “ci vuole così poco?”

E’ davvero dietro l’angolo quel futuro da Interceptor?

Scordiamoci le guerre di una volta, o quelle che si consumano in medio oriente, le guerre nuove, quelle “moderne”, sono guerre finanziarie, sono guerre che si combattono nei mercati borsistici e dietro ad un pc, solo una cosa non cambia: le vittime.

Mi pare che tutto torni: file ai distributori, poche auto in giro, supermercati vuoti…

Forse è tutto un film, un brutto film, o magari è solo un vecchio film, un Interceptor che bussa al nostro presente.

two gust is megli che one…Però che burdell…

E’ vero, la prima gravidanza passa come un affare di Stato, viene pubblicizzata e vissuta come un evento. La donna si misura e pesa ogni settimana, si scatta foto per mostrare l’evoluzione del pancione ed ogni giorno c’è qualcuno che le telefona per sapere come sta, o solo per condividere un pò di quella gioia.

Anche per il padre è una festa, ci si preoccupa un pò, si fanno due conti, ma in fondo si ha il polso della situazione, viene il mente il vecchio motto “dove si mangia in due, si mangia in tre…” e poi si sa già che la famiglia farà quadrato, che tutti saranno presenti e pronti ad aiutare e sostenere…

Poi arriva la seconda gravidanza. Innanzitutto viene accolta, non con esultanza da stadio, ma con frasi del tipo, (come nel nostro caso), “eh ora???”.

E tutti ti chiedono “ma voluto” e tu: “si, si voluto, ma non credevo che sarebbe accaduto il giorno dopo averci pensato”.

La seconda gravidanza passa sostanzialmente sotto silenzio, si perde la centralità che si era conquistata con la prima, c’è una sorta di retropensiero alla “vabbuò, mo non è che ogni gravidanza o può gghì truvann…(non è che ogni gravidanza puoi pretendere attenzioni).

Per il padre non è più questione di fare qualche conto, ma questione di sopravvivenza, sposti 100 euro da lì a qui, poi li rimetti lì, poi li dividi e li metti qui e lì e poi lì…Ma so semp 100…

La casa di 56 mq, già micro, ti guarda come a dire “cosa altro cazzo vuoi spostare per farci entrare ancora mobili?”.

Ed il piccolo, che ha solo 17 mesi,  e ne avrà 2o alla nascita della sorella, ti guarda e pare dirti “papà, ma lo hai capito che c’è la crisi????”.

Io vorrei dirgli: “Corrado a papà…” Ma non trovo risposte valide, così mi limito a guardardo ad a costruirgli una torre “atta atta” con le costruzioni, così che lui la possa distruggere e riderne come un nano pazzo.

Con la tua compagna incinta per la seconda volta, avverti la strana sensazione di averla fatta grossa e le crisi ormonali di lei raggiungono vette inesplorate.

In più è femmina e questo ti costringerà a rivedere tutte le tue posizioni in fatto di donne…Un passo epocale direi, al quale potrei anche non essere pronto.

Ieri ad esempio mi sono addormentando pensando a quando mia figlia, magari a 10 anni, mentre Corrado starà ancora cazzeggiando con i robot, mi dirà che sono fuori moda, inadeguato o chessò io…Mi è venuto il freddo addosso…

Cmq la pubblicità diceva che two gust is megli che one…Spero abbia ragione, spero non sia il passo più lungo della gamba, spero di essere capace, di conservare un pò di vita anche per me, di essere un buon padre, di tornare ad essere un compagno decente e spero anche che i miei amici/si sbrighino a fare figli.

P.s. cmq a me il rosa fa cacare…

 

Costa crociere e gli sciacalli del mare

Ti accorgi di quanto fa schifo l’italiano medio quando accadono cose come quelle accadute alla nave della Costa.

Parlo non del comandante della nave, le cui responsabilità, se ci sono, verranno accertare con un processo, ma dei nostri “giornalisti”, dei telegiornali, dei sondaggi assurdi, del cittadino comune che improvvisamente si fa esperto marinaio, esperto di soccorsi, esperto di correnti, di meteo, di ingegneria navale…

A noi italiani piace che qualcuno sbagli, ci sentiamo migliori, ci piace condannare, mettere croci e chiodi, ci fa sentire giusti e rigidi, in qualche modo per bilanciare la nostra natura di gente di strada.

Siamo tutti eroi, anche quello stronzo di Mentana che parla adesso,leggendo una sentenza, di condanna scritta di suo pugno,  per Schettino e lodando, allo stesso tempo, un altro comandante che, dalla capitaneria, impartiva ordini, sicuramente in buona fede, ma sicuramente lontano dal caos che stava accadendo a bordo.

Eppure abbiamo già creato eroe ed antieroe. “Repubblica”, giornale sempre più disgustoso, ha pubblicato le cose più assurde, si è lanciata nelle illazioni più becere e se vogliamo illogiche.

Mi fanno schifo i gruppi di tifosi sorti a 5 secondi dall’incidente, odio questa natura ultrà dei miei compaesani e, per quanto io provi sempre a contenere la mia rabbia, (almeno su questo blog).,stavolta la lascio esplodere e mando sonoramente a fare in culo tutti quelli che su facebook, sui blog, sui giornali, per strada, nei bar, hanno sparato le proprie sentenze di morte senza conoscere null’altro che la merda che ci è stata regalata dai giornali, più una telefonata che avrà pure un chè di sensazionalistico, ma che andrebbe quanto meno contestualizzata agli eventi.

E poi a bordo c’era un equipaggio intero, quand’ anche un comandante avesse sbagliato, ce ne sono stati centinaia che hanno dato tutto.

Però l’italiano deve mangiare cadaveri come fanno gli avvoltoi, deve fare il predicozzo, deve esprimere la propria violenza, quella violenza che è dei vili, di chi si accanisce contro un bersaglio facile, come a punirlo del fatto di essere, in fondo, ma manco tanto, proprio come chi lo condanna.

Non venite a dirmi che voi avreste fatto, voi avreste detto, così come non mi interessa che lui è stato preparato e formato anche per questi momenti, non mi dite queste cazzate per la semplice ragione che non sapete, non sappiamo, cosa è realmente accaduto e come è accaduto.

Se poi l’obiettivo è solo trovare un demone ed un angelo per poter scrivere ed esporre striscioni, allora accomodatevi pure nella più stupida delle curve.

Mi vergono di essere italiano, oggi più che mai.

Il mio – non mio manifesto per la scrittura.

Il mio-non mio manifesto per la scrittura.

La scrittura per me…Per me che non sono uno scrittore e nemmeno un giornalista, ma che ho giocato, ahimè solo giocato, a fare entrambi la scrittura è un gioco di ruolo, mi permette di essere ciò che voglio, anche quando nell’animo mi sento fallito.

La scrittura mi ha fatto e mi fa: ridere, piangere, pensare, sognare, immaginare, fuggire e tornare.

E più ho scritto per me, e per me soltanto, più queste emozioni si sono amplificate.

Inevitabilmente, nel condividerle, o nel tentare di condividerle, qualcosa si è perso.

La scrittura, e come lei la fotografia, sono, nella mia vita, due pensieri costanti, anche se a volte non seguiti da azione alcuna.

Scrivo anche quando non scrivo, metto in fila i pensieri e ne compongo la forma, il sapore, il colore, come se avessi una pagina da riempire ed il mio convincimento è che le mie pagine più belle le ho scritte nell’aria.

Amo le parole, in maniera morbosa ed odio chi le violenta, chi le usa a sproposito, chi pubblicizza la propria scrittura come fosse un deodorante e soprattutto chi è convinto che le parole, quelle scritte, in qualche modo gli appartengano.

Non è così! Non per me.

Dal momento in cui una parola tocca il foglio, quella parola non è più mia, anche se dovessi essere l’unico a leggerla.

Quella parola, quel foglio, quella scrittura, vivono una vita propria.

Ecco perché mi provoca tanto fastidio chi magnifica la propria scrittura, chi si definisce scrittore, chi fa il finto modesto e poi tartassa i coglioni con il libricino che ha pubblicato.

Scrivere non è un lavoro. Scrivere è un modo di respirare a sillabe, di emozionarsi e, per qualcuno, di emozionare.

Uno scrittore non dovrebbe mai parlare di ciò che ha scritto, perché non è più suo.

Poi ci sono gli imitatori, categoria deprimente, ad esempio i “Parrelliani”: quelli che mettono sullo sfondo una Napoli dove anche i cattivi sono in fondo un po’ buoni, chiamano i personaggi con il nome in dialetto ed ecco fatto il romanzo, o ancora i “Voliani”, Re e Regine del luogo comune, impegnati ad attirare il consenso più ancora che a non sbagliare le doppie.

Forse scrivendo un blog e scrivendo questo post mi colloco a pieno diritto tra quelli che critico, ma con una sottile differenza, io qui voglio solo ringraziare le parole, che mi permettono di diventare altro quando più ne ho bisogno, di vomitare rabbia e disgusto per non farmene divorare, di inventare favole in cui mi perdo io stesso, di rileggermi come leggerei uno sconosciuto amandomi ed insultandomi a seconda degli umori, di offrirmi riparo e conforto quando fuori mi sembra tutto…Tutto “troppo”.

Come per la fotografia qualche tempo fa, anche per la scrittura dico che ormai tutti sono scrittori e romanzieri e tutto sommato mi fa piacere, purchè non diventi martellamento quotidiano, perché un libro è una cosa seria, è un viaggio infinito che si rinnova ad ogni lettura e non una gita fuori porta che puoi raccontare come fosse una spedizione al Polo.

Io mi limito ad amare le parole, a cercarne di nuove, a tirare fuori qualcosa di bello da quelle vecchie, ritorcendomi le budella quando vedo quelli che scrivono “qual’ è”, e commuovendomi come un cretino di fronte alla frase di un cantante tipo “io e te che attraversiamo il fuoco con un ghiacciolo in mano che siamo due puntini ma visti da lontano” senza saperne il motivo, senza comprenderne il senso, ma con la certezza che quelle parole, chissà come siano saldate ad altre parole scritte o lette chissà dove.

Il mio manifesto per la scrittura è un gesto dovuto, perché un viaggio non raccontato non avrebbe avuto lo stesso sapore, un amore finito, non appuntato su un taccuino non avrebbe lasciato segno ugualmente profondo, un padre amato e criticato, non sarebbe stato così amato e criticato se non né avessi tracciato il profilo con una biro.

Quindi…Quindi niente, grazie, anche a queste parole, scritte qui e già non più mie, per fortuna, o purtroppo.

Le costruzioni…Di un nuovo anno

Il primo contratto che io abbia mai firmato l’ho fatto con mio fratello.

All’epoca avrò avuto 5, forse 6 anni, appena sufficienti per capire che su quel foglio di carta a quadretti c’erano delle parole e non dei geroglifici…Ricordo che il contratto, scritto da mio fratello di 10 anni, aveva su un lato dei dadi disegnati, chissà perchè poi…Forse in qualche maniera lui stesso voleva suggerirmi che quel contratto era un vero e proprio azzardo.

In ogni caso lo firmai.

Con quel contratto lui mi cedeva i suoi playmobili ed io; io  cedevo tutti i miei Lego;  le mie costruzioni, compresi i brandelli di un meraviglioso elicottero della serie technic.

Qualcuno avrebbe dovuto fermarmi;  qualcuno avrebbe dovuto quanto meno impugnare quel contratto, perchè un bambino che cede i propri Lego ad un altro, compie un errore; un madornale errore.

Aggiungete poi che la cazzimma da bambino di mio fratello, in fatto di cose sue, era enorme. Lui aveva una predilizione per le basi spaziali, costruiva delle robe che se la Nasa le avesse viste, oggi già potremmo prendere l’aperitivo con i marziani, però vivevano sotto al suo letto ed uscivano solo quando doveva giocarci lui.

Le volte che mi beccò a giocarsi senza autorizzazione in marca da bollo, furono mazzate di morte.

Oggi però il tempo ha iniziato a darmi una sorta di risarcimento, in casa ns sono entrate le costruzioni…Un sacco grande, con pezzi anch’essi grandi, adatte all’età di Chicchinide, lui le ha guardate incuriosito, poi mi ha chiesto di metterle sul suo tappeto gioco e lì è successo che io sono tornato ad avere 6 anni e lui ha dovuto lottare contro un altro bambino.

Ho iniziato con un quadrato, poi ne ho fatto uno con una porta, poi un’autorimessa, un castello, un appartamento, una stazione dei pompieri…Lui si limitava a mettere qualche pezzetto e soprattutto, come in un tacito accordo, attendeva che terminassi per poi abbattersi con la sua furia distruttrice e abbattere tutto.

Io però subito riprendevo a costruire dalle “macerie” e lui di nuovo a distruggere, il tutto tra sonore risate e abbracci improvvisi.

Me lo immagino così questo 2012, faticoso da morire, pieno di pezzi che cadono, ma sempre con la forza ed il desiderio di rimetterli al suo posto, inventando sempre nuove forme e nuove soluzioni, magari per fare una costruzione ancora più grande, tra le risate di Chicchino, i nostri abbracci e la papaverina che verrà…

P.s. Caro 2011, ti sei preso un bel pò di cose ed io ho fatto finta di niente, però, con tutto il cuore: “AFANCUL!!!!!!!”