Che c’avrà avuto all’epoca, 15 – 16 anni.
Nè bambino, nè uomo.
Nè troppo piccolo per camminare mano nella mano, nè troppo grande da dover sostenere nel cammino.
Un momento perfetto per certi versi, con un enorme mondo avanti e la convinzione di poterlo all’occorrenza domare, sfidare, amare, odiare, tenere in pugno o allontanare con un calcio….
E di sabato ogni tanto lo accompagnava ancora a fare la spesa, avevano i loro giri, tipo la Salumeria “Sorrento”, dove il padre era di casa e lui era trattato come un piccolo re, ogni volta un assaggio, ogni volta una carezza in forma di salume…
Andavano in giro, i classici giri padre figlio, di quelli che ancora si possono fare quando la sfida all’autorità paterna non arriva ad incasinare tutto.
Quel giorno il papà acconsentì ad un giro in un negozio di dischi, forse Top music, ed il ragazzino girò in lungo ed in largo, si piazzò vicino una postazione, una delle prima, ed ascoltò qualche cd e poi, con un misto di eccitazione e voglia di sfidare, ne scelse uno, con garbo, con timidezza, con la consapevolezza che nulla gli era dovuto.
“Bob Dylan – Greatest hits”. Musica per spararsi la posa, lo sapeva bene, per rimarcare la differenza tra i suoi gusti, (quali erano poi i suoi gusti manco lo sapeva), ed il Peppino di Capri di suo padre, ma il padre era un uomo semplice, nel senso più nobile del termine, semplice al punto che pagò, si beccò un grazie e finì lì.
Dopo 30 anni, dopo molte liti, dopo tardive carezze, dopo lacrime che sono scoppiate e scoppiano nel bel mezzo del giorno, Dylan è ancora lì che canta e il ragazzino è lì, che si rosicchia quel ricordo dolce amaro e poi lo butta giù sperando finisca nel cuore invece che nello stomaco.